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Le
reti di influenza possono essere responsabili della diffusione di diversi
sintomi di disagio psicologico e socio-relazionale. Anche altri comportamenti
in un certo qual modo di “assenza sociale” e/o autodistruttivi possono
diffondersi nello stesso modo. È quello che sta alla base di questi episodi
definiti dai social “casi Samara” in riferimento ad un film del genere horror.
Ne consegue, sul piano comportamentale, una sorta di “malattia psicogena di
massa” per cui al manifestarsi di un atteggiamento deviante se ne verificano
altri con un effetto cosiddetto a “macchia d’olio”. Il tutto amplificato e
rafforzato dall’immediatezza comunicativa garantita dalle diverse piazze
sociali, in cui ognuno esprime arbitrariamente la propria opinione generando a
suo volta il “caso mediatico” ed una serie di catene di ipotesi che non fanno
altro che alterare e denaturare le cause sociali che sottendono questi
fenomeni. La vera preoccupazione è lo stato di “isolamento sociale” che si
trovano a vivere i giovani, con il grande “vuoto” che lascia loro, e a noi
tutti, la “realtà virtuale” dove tutto viene fatto credere e mostrato in
maniera amplificata, facendo perdere di vista gli obiettivi concreti,
l’autenticità delle relazioni e dei rapporti emotivo-sociali. I social, paradossalmente,
sono anche un mezzo attraverso il quale oggi si trasmette un pensiero, il
desiderio di un’emozione che si vorrebbe vivere, di un dolore che si vuole
comunicare, questo perché c’è bisogno di essere “ascoltati”. I ragazzi in
questo modo, a volte, non fanno altro che comunicarci il loro “bisogno di
essere ascoltati” o il loro senso di frustrazione rispetto ad una realtà sempre
più basata sull’individualizzazione.
Si
crea un processo di co-causazione circolare per cui il comportamento deviante è
a sua volta una conseguenza di una devianza sociale. In altre parole, i giovani
in questo modo comunicano un disagio che attraverso la diffusione tramite i
social viene quasi “legittimato” sottovalutandone il forte potere diseducativo.
Questo è quello che ci deve spaventare e su cui dobbiamo riflettere.
A
mio parere, al di là di maggiori forme di controllo sulle piazze sociali che i
grandi “Imperi Social” dovrebbero attuare, come ho ribadito in più occasioni,
occorre elaborare delle strategie educative volte ad un rafforzamento delle
relazioni concrete, di forme associazionistiche di auto mutuo aiuto. I piccoli
contesti potrebbero essere avvantaggiati in questo, anche se ci si scontra
spesso con il pregiudizio e con forme di etichettamento. I tempi della consapevolezza si sa sono lunghi,
come anche quelli del cambiamento, ma bisogna iniziare.
Rossella Cappabianca