“IL SILENZIO UCCIDE LA DIGNITA” INTERVENTO SUL TEMA: VIOLENZA CONTRO LE DONNE


I sociologi si occupano del fenomeno della violenza di genere non perché in aumento ma perche esiste. In realtà quando si parla di questo fenomeno bisogna tener presente che c’è sia il genere maschile che quello femminile. In questo caso ci soffermiamo sulla violenza contro le donne, in quanto i dati statistici mostrano che il fenomeno della violenza di “genere” vede protagonista soprattutto il “genere femminile” tra le vittime.


Prima di passare alle statistiche è necessario fare una breve premessa, sia sugli aspetti e mutamenti di questo fenomeno collocandolo nel contesto della modernità che sulla natura semantica della terminologia utilizzata dai mass media per identificarlo.


Negli ultimi anni l’attenzione per il fenomeno della violenza contro le donne è aumentata in Italia: l’opinione pubblica è diventata più sensibile, le politiche sociali si sono mobilitate per la realizzazione di interventi più efficaci, in conseguenza ad una diminuzione della paura e del silenzio delle vittime. Pertanto, è indispensabile aggiornare la conoscenza scientifica soffermandosi sull’intreccio tra la violenza contro le donne e atri fenomeni di rilevanza sociale: la ricostruzione/trasformazione dell’identità personale e sociale in uno scenario in cui i ruoli sessuali sono in mutamento; la violenza come “forza sociale” che si manifesta nel vuoto di identità o comunque nei mutamenti di questa; i diversi modelli sociali della violenza, ossia i diversi profili socio-culturali degli aggressori e delle vittime che sono presenti nel nostro paese. Questi tre elementi ci permettono di collocare la violenza contro le donne nel contesto della modernità. Come evidenziato in alcuni studi, né gli uomini né le donne hanno ancora elaborato un’idea precisa dei loro nuovi ruoli di genere, spesso enfatizzati dall’immaginario collettivo, creando disequilibrio nel rapporto di coppia.


Per quanto riguarda i termini utilizzati dai mass media per definire questo fenomeno, frequente è l’uso del neologismo “femminicidio” in cui non è presente né chi esercita la violenza né il perché, creando un vuoto semantico spesso colmato da pericolose semplificazioni.


Per indicare tutto ciò esistono due parole equivalenti ‘femicidio’ e ‘femminicidio’ (rispettivamente di matrice americana e latina) ‘Femicidio’ è una parola usata dalla criminologa americana Diana Russel nel 1992 con cui dà un nome alla violenza contro le donne, facendo rientrare in questo concetto l’assassinio e tutte quelle situazioni legate a pratiche misogine che hanno come esito la morte della donna. Il termine ‘femminicidio’, del 1993, si deve ad un’antropologa messicana Marcela Lagarde che lo usa per identificare «il prodotto della violazione dei diritti umani delle donne in ambito pubblico e privato – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che, pongono la donna in una posizione indifesa e di rischio e possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia».


Di seguito una sintesi dei dati EU.R.E.S. (ricerche economiche e sociali) aggiornati al 2013:


Il crime clock della violenza contro le donne: colpita una donna ogni 12 secondi – Più in dettaglio, ogni giorno 95 donne denunciano di aver subito minacce e 87 di aver subito ingiurie; 64 donne al giorno sono vittime di lesioni dolose, 19 di percosse, 14 di stalking, 10 di violenze sessuali. E ogni 2 giorni una donna è vittima di omicidio. Alla forte caratterizzazione “di genere” di alcuni reati violenti (90,5% le vittime donne nelle violenze sessuali,77,4% nello stalking e 53,5% per le ingiurie), si affianca inoltre una crescente femminilizzazione per le minacce (45,4% di vittime donne), le percosse (48,3%) e le lesioni dolose (40,6%), cui si contrappone, nel profilo degli autori, un’assoluta dominanza degli uomini che spiega ed anzi rilancia


l’esigenza di una più incisiva sensibilizzazione e produzione normativa in materia: sono infatti uomini nel 98% dei casi gli autori delle violenze sessuali, nell’89,5% quelli dei femicidi, nell’85,7% per lo stalking, nell’83,5% per le lesioni dolose, nel 75,1% per le percosse, nel 78,7% per le minacce e nel 65,5% per le ingiurie.


Femicidi in Europa: l’Italia tra Paesi meno esposti. Maglia nera a Germania, Francia e Regno Unito – In Europa è la Germania (con 350 vittime donne nel 2009, pari al 49,6% delle 706 vittime di omicidio totali e un indice di rischio pari a 0,8 per 100 mila donne residenti) a detenere il primato negativo del numero di femicidi, seguita dalla Francia (288 vittime, pari al34,3% e un indice pari a 0,9) e dal Regno Unito (245, pari al 33,9% e un indice pari a 0,8). L’Italia presenta uno degli indici di rischio più bassi (0,5),preceduta dalla sola Grecia (0,3), pur in presenza del quarto valore in termini assoluti (148 donne uccise nel 2010); superiore l’indice anche in Spagna e Svezia (0,6), anche se i valori massimi si rilevano in Lettonia (4,9 donne uccise ogni 100.000 residenti), Lituania (3,6) ed Estonia (3,4).


Concludendo, un percorso maturo di valutazione e prevenzione di questo fenomeno dovrebbe riguardare tre variabili: l’autore della violenza e tutte le possibili azioni di recupero laddove possibile, la ricostruzione del “sé” della vittima e dare attenzione al fenomeno emergente della “violenza assistita” agita sui figli.





La capacità distruttiva della violenza contro le donne è grande, ma grande è anche la capacità delle società e della politica di punire i colpevoli e cercare di prevenire, proteggendo la vittima.


di Rossella Cappabianca