EMERGENZA, CRISI E DISASTRI: IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE


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Le crisi sociali causate dalle catastrofi naturali o da quelle prodotte dagli uomini sono eventi complessi. L’analisi degli effetti sulle collettività costituisce uno degli ambiti peculiari che caratterizzano la sociologia.
In una situazione di disastro ambientale, come nel caso del terremoto avvenuto nell’Italia centrale, che ha colpito gravemente i comuni di Amatrice, Arquata del Tronto, Accumuli, lasciando dietro di sé dolore e rabbia, la comunicazione svolge un ruolo centrale, la quale non solo orienta la risposta degli attori interessati – dalle istituzioni politiche, all’uomo della strada – ma dà forma alla stessa percezione del rischio.
Se le conseguenze tra terremoti di eguale “magnitudo” sono diverse da un territorio all’altro, ciò dipende dalla differente vulnerabilità dei sistemi sociali coinvolti e dalla loro “cultura dell’emergenza”.
Il ricordo nitido dell’attuale terremoto e di quelli che negli ultimi decenni hanno caratterizzato la nostra penisola (L’Aquila, Campobasso, ecc.), lasciano una serie di questioni e interrogativi ancora aperti.
Il fatto che il Network della Ricerca sui Media intitolato “Comunicazione e crisi”, sia stato organizzato a Napoli nel 2000 dall’Associazione Europea di Sociologia non è casuale. In una città, che nonostante gli sforzi degli amministratori succedutisi nel tempo, vive costantemente in bilico tra crisi sociali e catastrofi ambientali. Basti pensare al terremoto del 1980 o a eventi più recenti come il bradisismo di Pozzuoli, allo smottamento del terreno che ha portato al crollo di interi palazzi o ancora alla Terra dei Fuochi.
Le riflessioni annose, le discussioni e gli inevitabili conflitti tra esponenti politici su cosa sia adeguato fare, su chi sia responsabile, sulla “prevenzione delle catastrofi”, si riaccendono ogni qualvolta i disastri si ripresentano.
I sociologi hanno ben chiaro come il “conflitto”, in quanto elemento sistemico, allorché non sia distruttivo, rappresenti comunque una risorsa all’interno di una struttura sociale. Gestirlo e risolverlo è compito delle istituzioni politiche.
È necessario, quindi, sulla scia di quanto già realizzato in altri Stati, i cui cittadini vivono costantemente l’esperienza del terremoto (si pensi al Giappone), che in Italia si affermi una “cultura della prevenzione”, la quale deve orientare la costruzione di costruzioni antisismiche e l’adeguamento di quelle già esistenti, al fine di preservare il più possibile le identità sociali legate agli spazi tradizionalmente caratterizzanti come i centri storici.
Rossella Cappabianca